Per Roma Capitale serve una vera svolta “circolare” per una gestione autosufficiente del ciclo dei rifiuti
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Sommario
Spunti tecnici di approfondimento sul bio-metano
Relazione introduttiva ed osservazioni normative per Roma
Movimento legge rifiuti zero per l’economia circolare – il presidente Massimo Piras
Quasi dieci anni fa con la chiusura della discarica di Malagrotta si è chiuso un ciclo insostenibile ma non si è aperto sinora quasi nulla in tema di una nuova gestione complessiva dei rifiuti urbani, dalla raccolta al riciclaggio ed allo smaltimento finale, in linea con le nuove normative di “economia circolare”.
La raccolta differenziata è ancora ferma a poco più del 40%, con forte presenza di contaminazione da “frazioni estranee” sia nei materiali inorganici che in quelli organici, con la conseguenza di non essere ancora in grado di essere “autosufficienti” né sul trattamento dei rifiuti indifferenziati né tantomeno di quelli differenziati.
Paradossalmente questa quasi totale “assenza impiantistica” potrebbe favorire una svolta radicale per Roma laddove la giunta attuale deciderà con convinzione di investire risorse importanti e strategiche sulla nuova filiera impiantistica per il riutilizzo – il riciclaggio ed il “recupero di materia” con impianti diffusi di piccola e media taglia.
Questo processo deve essere accompagnato dall’avvio di un percorso per costruire la vera Città Metropolitana che può nascere solo dal totale cambiamento della “governance”, attuando il principio del “decentramento” di nuovi poteri ai municipi visti in prospettiva come veri “Comuni Urbani” metropolitani e certamente dal totale rinnovamento della struttura di AMA con un concreto decentramento organizzativo con ripartizione proporzionata di uomini e mezzi nei 15 municipi attuali.
Un processo di queste dimensioni, sia per la sua estensione territoriale che per il coinvolgimento di circa tre milioni di residenti, non può certo avere successo senza il coinvolgimento “attivo” delle comunità locali, delle associazioni esistenti, dei lavoratori di AMA e di tutte le organizzazioni di categoria presenti nella Capitale. Questo punto può avere un suo input dalla costruzione di una rete di strutture di confronto paritetiche tra l’amministrazione ed i cittadini, rete che noi abbiamo già collaudato in alcuni municipi con gli Osservatori verso rifiuti zero con compiti e poteri già normati dalla Delibera capitolina n. 129/2014 tuttora vigente ma inattuata.
CENNI NORMATIVI PER UN PROGETTO DI VERA ECONOMIA CIRCOLARE A ROMA CAPITALE
Il decreto legislativo 3 settembre 2020, n. 116, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 226 dell’11 settembre 2020 (entrato in vigore il 26 settembre 2020), con cui sono state recepite la direttiva (UE) 2018/851 e la direttiva (UE) 2018/852, le quali a propria volta avevano modificato la direttiva-quadro relativa ai rifiuti (n. 2008/98/CE) e la direttiva 1994/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio.
Il nuovo ciclo dei rifiuti nell’economia circolare, infatti, parte dalla fase della riprogettazione di beni e prodotti, prevede la prevenzione/riduzione dei rifiuti, passa dalla preparazione al riutilizzo e finisce alla fase del riciclo dei materiali differenziati. Queste ultime due fasi sono incluse nel nuovo concetto di “recupero di materia”, che prescinde quindi da quelle definite come “altre forme di recupero” come il recupero di energia. Tale concetto è stato inserito nel nuovo testo unico ambiente D. Lgs. 152/2006 e smi nell’articolo 183 comma t-bis, a seguito del recepimento della Direttiva 851/2018.
t-bis) “recupero di materia”: qualsiasi operazione di recupero diversa dal recupero di energia e dal ritrattamento per ottenere materiali da utilizzare quali combustibili o altri mezzi per produrre energia. Esso comprende, tra l’altro la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio e il riempimento.”
È evidente in questo che la rappresentazione della vera “circolarità” dei processi previsti dipende dalla conservazione della materia e del suo contenuto energetico, mentre sono fuori da questo processo sia l’utilizzazione della materia come combustibile da incenerire che l’estrazione di combustibili liquidi o gassosi attraverso processi termici con conseguente distruzione della materia al pari dei processi di smaltimento finale.
Pertanto la nuova formulazione dell’articolo 220 del D.Lgs 152/2006, recentemente modificato dal D.Lgs 116/2020, al punto 6 ter recita: “le quantità di materiali di rifiuto che hanno cessato di essere rifiuti prima di essere sottoposti ad ulteriore trattamento possono essere computati come riciclati a condizione che tali materiali siano destinati all’ottenimento di prodotti, materiali o sostanze da utilizzare per la loro funzione originaria o per altri fini. I materiali di cui è cessata la qualifica di rifiuti da utilizzare come combustibili o altri mezzi per produrre energia, o da incenerire, o da utilizzare in riempimenti o smaltiti in discarica, non sono computati ai fini del conseguimento degli obiettivi di riciclaggio”
La gestione dei rifiuti per essere efficiente, ed efficace ai fini della riduzione delle emissioni in atmosfera, deve rispondere in pieno al principio di “prossimità” o di “autosufficienza territoriale” che prevede che il rifiuto debba essere trattato in impianti ubicati vicino ai luoghi di produzione degli stessi.
Questo principio viene rispettato laddove vengono progettati impianti di trattamento compatibili con la salute pubblica, specie in aree in cui la qualità dell’aria è già estremamente compromessa da polveri e particolati ultrasottili, escludendo tutti i processi tecnologici termici e privilegiando esclusivamente quelli a zero nuove emissioni tossiche.
Inoltre il rispetto del principio di prossimità si esplica attraverso la previsione di impianti con capacità di trattamento in linea con le quantità di rifiuti prodotti nei luoghi di produzione “prossimi”, quindi in ambiti ottimali minimi di centomila abitanti e non superiori a circa duecentomila abitanti.
PERCHÈ ROMA CAPITALE DEVE PUNTARE SUL COMPOSTAGGIO AEROBICO E NON SUI BIO-DIGESTORI ANAEROBICI
La gestione della frazione organica differenziata dei rifiuti in particolare, in quanto maggiore componente percentuale dei rifiuti urbani, per essere computata negli obiettivi di riciclaggio necessita di essere processata con il processo di “compostaggio aerobico” che è il solo processo che produce un compost di alta qualità riutilizzabile come ammendante per usi agronomici e florovivaistici.
Il processo di digestione anaerobica della frazione organica è ammesso ai fini del suo trattamento nella forma mista (con il compostaggio aerobico del digestato solido a valle della produzione di biogas) solo per la quota di rifiuti differenziati, e comunque non presenta un bilancio di materia da cui si possa desumere una sua possibile equiparazione con il processo aerobico come previsto dall’ambiguo comma 4 dell’art. 11 bis della Direttiva 851/2018 ripreso nel nuovo testo del D.Lgs. 152/2006 all’articolo 220 punto 6 bis:
«Articolo 11 bis – Regole per calcolare il conseguimento degli obiettivi
4. Per calcolare se gli obiettivi di cui all’articolo 11, paragrafo 2, lettere c), d) ed e), e all’articolo 11, paragrafo 3, siano stati conseguiti, la quantità di rifiuti urbani biodegradabili in ingresso al trattamento aerobico o anaerobico può essere computata come riciclata se il trattamento produce compost, digestato o altro prodotto in uscita con analoga quantità di contenuto riciclato rispetto all’apporto, destinato a essere utilizzato come prodotto, materiale o sostanza riciclati. Qualora il prodotto in uscita sia utilizzato sul terreno, gli Stati membri possono computarlo come riciclato solo se il suo utilizzo comporta benefici per l’agricoltura o un miglioramento sul piano dell’ambiente.
Tale ipotesi è chiaramente irrealistica, dato che il bilancio di materia del compostaggio aerobico prevede una resa in compost di circa il 35% dato che la quota restante del 65% è acqua che evapora in fase termofila, mentre il bilancio di materia della digestione anaerobica prevede la produzione di circa il 25% di biogas (con circa il 70% di metano e il 30% di CO2) ed una resa in digestato compostato di circa il 13% e con caratteristiche chimico-fisiche molto diverse dal compost aerobico.
Del resto la seconda frase del comma 4 è facilmente contestabile, in quanto il “digestato compostato” che viene sparso sui campi non determina mai un beneficio ma come già rilevato in Veneto ed in Friuli il suo utilizzo comporta una forma di inquinamento grave dei terreni e delle acque superficiali a causa dei composti ammoniacali presenti e dei metalli pesanti concentrati nel processo di trattamento di grandi quantità di frazione organica inquinata anche se differenziata.
L’inchiesta condotta da Fanpage e ripresa dalla RAI TGR Veneto è esemplare rispetto alle modalità di spargimento nei campi del digestato prodotto dalla nota azienda SESA di Padova in cui vengono tutto inviato i rifiuti organici di ROMA, oltre a quanto succede nei campi circostanti il megaimpianto della BIOMAN di Pordenone!
https://youmedia.fanpage.it/video/aa/XPg4COSwuyUOfnP2
Del resto mentre da anni viene incentivato il recupero di energia (incenerimento/biomasse/biogas) a fondo perduto con i certificati bianchi dal GSE, oggi che tale processo è stato declassato tuttora non viene affatto incentivato il recupero di materia (riciclaggio e compostaggio aerobico) nonostante la normativa oramai attuativa europea!
Sottolineiamo che l’affermazione di taluni studiosi per cui “la produzione di biometano da rifiuti organici / FORSU potrebbe essere di fatto sostitutiva del metano fossile” e produrre quindi una ipotetica riduzione dell’impronta ecologica, è comunque largamente smentita nei fatti dai dati forniti da un organismo a controllo statale quale il G.S.E. Un organismo che pure non è soggetto terzo in questa partita in quanto è quello che eroga gli incentivi a fondo perduto annualmente pari a circa 12 miliardi di euro per le “fonti rinnovabili di energia”, che eroga per biomasse/biogas contributi pari a circa 3 miliardi annui a fronte della produzione di energia nel periodo 2015-2020 pari al 3-4% del totale!
ASSOCIAZIONE ITALIANA COMPOSTAGGIO – A.I.C. a.p.s.
Nota sui biodigestori e Roma – Il presidente Fabio Musmeci
Oggi tutti concordano, a parole, che si dovrebbe sostenere una politica sui rifiuti che integri le varie possibili soluzioni tecnologiche esistenti intendendo con queste non solo gli impianti ma anche i sistemi di prevenzione, gestione sul posto del riciclo, raccolta e trasporto. Oggi, per il settore del trattamento dell’organico (ma non solo), è invece di fatto proposta, da molti degli stakeholder pubblici e privati, la sola soluzione del grande impianto integrato anaerobico/aerobico come aspetto centrale.
Vogliamo, di seguito, fare qualche ragionamento senza negare la possibile utilità dei grandi impianti ma ricorrendoci dopo aver esplorato altre soluzioni. Riteniamo cioè che vadano esplorate tutte le potenzialità del territorio con un approccio bottom up, seguendo il principio di prossimità e di sussidiarietà. Principi spesso sbandierati ma raramente applicati. In altri termini, forse più pratici, questo vuol dire porre in essere azioni in sequenza:
- il rifiuto può essere evitato? (cfr. progetti di economia circolare oppure prevenzione come il progetto Reduce[1]); Lo spreco alimentare rappresenta quasi due terzi (60%) di tutti i rifiuti organici provenienti dalle famiglie e da fonti simili;
- se il rifiuto viene prodotto può non essere conferito al sistema di gestione?
Per esempio:
- può essere trattato localmente, presso lo stesso produttore (esempio auto-compostaggio la cui forma più nota è il compostaggio domestico ma estendibile anche alle utenze non domestiche)?
- può essere trattato a livello di condominio, consorzio ecc. (compostaggio di comunità)?
- può essere raccolto e conferito ad un piccolo impianto locale dallo stesso furgone di raccolta da 3 mc evitando il trasporto ad un impianto remoto con il necessario trasferimento su camion grandi da 25 tonnellate?
Cosa possono fare gli Enti sovraordinati per supportare quelli sotto ordinati nell’affrontare la problematica posta dai rifiuti organici?
Cosa può fare un comune per supportare le utenze a trattare in direttamente i propri scarti organici? Quali politiche tariffarie? Quale supporto dalle Regioni?
Progetti quali quelli portati avanti da ENEA con Aeroporti di Roma (auto-compostaggio), con ACEA con il compostaggio diffuso (es. Fiera di Roma) oppure le esperienze in Emilia Romagna di “compost sharing” (condivisione attrezzature come vagli, trituratori ecc.), i finanziamenti di alcune regioni (tra cui le Regione Lazio e Campania) per il compostaggio, l’inclusione di questi temi nei Criteri Ambientali Minimi per la politica di acquisti verdi della PA vanno nella direzione del supporto ai piccoli impianti e nella creazione di nuovi servizi collegati per il monitoraggio, l’assistenza, la conduzione, la comunicazione.
Il piano industriale di Acea “prevede di installare 150 SmartComp (compostatori elettromeccanici da 120 tonn/anno) entro il 2024 al fine di implementare un modello delocalizzato e condiviso di gestione dei rifiuti”. Le utenze ove è difficile effettuare il compostaggio potrebbero essere trattate con essiccatori che renderebbero i cicli di raccolta meno frequenti e più efficienti (non si raccoglierebbe e trasporterebbe l’acqua).
Solo in modo complementare, e forse anche successivamente, ci si potrà occupare dei grandi impianti. Viene il dubbio se venga supposto, nell’immaginario collettivo, come più avanzata e più scientifica la soluzione grande impianto “industriale” solo perché si tratta di un impianto che possiede una sua intrinseca complicazione in confronto ad altre soluzioni più semplici, più economiche e ritenute però meno tecnologiche.
In casi simili bisognerebbe invece applicare un principio base della scienza moderna noto come “rasoio di Occam”. Questo principio asserisce che “frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora” ossia “è futile fare con più mezzi ciò che si può fare con meno”. In altri termini, non vi è motivo alcuno per complicare ciò che è semplice.
Secondo il Piano d’Azione per le tecnologie ambientali nell’Unione Europea le tecnologie compatibili con l’ambiente non sono solo tecnologie singole, ma sistemi totali che comprendono know-how, procedure, beni e servizi, apparecchiature e procedure organizzative e di gestione. La capacità di saper cogliere la complessità del sistema (non la sua complicazione) è essenziale per offrire soluzioni tecnologicamente avanzate.
La situazione appare simile a quella che fu il dibattito sul nucleare ove una delle argomentazioni principali era quella della grandezza degli impianti contrapposta al “piccolo e bello”. Posizione quest’ultima condivisa da molte associazioni ambientaliste compresa Lega Ambiente.
Se andiamo poi a confrontare la soluzione anaerobica a quella aerobica vediamo che:
- nella scala gerarchica delle priorità nella gestione dei rifiuti il recupero di materia viene prima del recupero energetico. Questo vuol dire che, per essere preferibili, gli impianti di digestione devono essere accompagnati dalla successiva fase di compostaggio. Esistono infatti gli impianti integrati anaerobico/aerobico. La produzione media di compost da impianti di solo compostaggio (da rapporto ISPRA: 4 milioni t/anno di rifiuti in input e 1,6 di ammendanti in output nel 2018) può essere valutata intorno al 40% (1,6/4). Da progetti presentati con varia enfasi sulla stampa, per esempio il recente progetto per l’impianto di Montespertoli 3 [3](FI), si scrive che, annualmente, da 160.000 tonnellate di rifiuti organici entranti nell’impianto si ottengono 25.000 t. di compost. Ossia 25/160=15,6%. Per l’impianto di Rende in Calabria[4]da 50.000 t/anno i progettisti stessi stimano la produzione di 8000 t/anno di compost ossia il 16%. Meno della metà del recupero di materia ottenuti mediamente da impianti di compostaggio. E questo in fase di progettazione. Per impianti reali, come quello di Sant’Agata Bolognese la produzione di Ammendante Compostato Misto (ACM) è inferiore al 14% di quanto in ricevuto in INPUT (Rapporto Rifiuti ISPRA 2021). Non viene scritto, nel Rapporto ISPRA, il destino del 44% (58.761 t/anno su 132.214 t/anno di rifiuto in entrata) classificato come scarto. Probabilmente discarica o inceneritore. In altri termini un impianto di bio-digestione è prodomo alla discarica o all’inceneritore.
- La questione della dimensione.
Si passa da una dimensione media per gli impianti di compostaggio da 20 mila t/anno a quelli di digestione anaerobica da 46.000 (più che un raddoppio) a quelli integrati anaerobici/aerobici con circa 95.000 t/anno (oltre 4 volte la dimensione media di un impianto di compostaggio).
Si noti che la questione della grandezza degli impianti incide su:
- impatto sul territorio con relative problematiche di accettazione e controllo sociale;
- la collocazione in aree remote con conseguenti costi di trasporto;
- scarsa flessibilità del sistema. Quando si richiedono finanziamenti (esempio bancari) per tali impianti bisogna avere contratti che impegnano i comuni a conferire quote assegnate di rifiuti organici per molti anni a venire. Questo contrasta con azioni di riduzione alla fonte (esempio lotta agli spechi alimentari) che rappresenta la priorità europea nella gestione dei rifiuti. In effetti molti impianti del Nord Est oggi non potrebbero fare a meno di quanto conferito dalle regioni del centro/sud perché progettati anni addietro in una logica di crescita esponenziale dei rifiuti che poi non si è verificata (per fortuna).
- Alta vulnerabilità del sistema: grandi impianti vuol dire anche, a parità di trattamento, pochi impianti. Il fermo di uno degli impianti comprometterebbe l’intero sistema di trattamento.
- Le occasioni di conoscenza, offerte dai piccoli impianti posti accanto alle utenze, rimuovono, anche a favore degli impianti più grandi, il timore per un’istallazione sconosciuta diminuendo la sindrome NIMBY.
- L’internalizzazione dei costi è una delle questioni chiave nel settore dell’ambiente.
Se esistono costi “nascosti” o che comunque se questi incidono su più capitoli diversi, diviene difficile fare dei confronti. Il compost non gode di sussidi. Nel caso particolare le sovvenzioni all’anaerobico, come produttore di energia rinnovabile, alterano il quadro economico spostando voci di costo dal settore rifiuti a quello energetico. Se non ci fossero sovvenzioni i biodigestori non avrebbero una sostenibilità economica. Sulla “rinnovabilità” dei flussi biologici che rappresentano anch’essi, oltre a quelli dell’estrazione di materiali vergini, un fattore di insostenibilità dello sviluppo, ci sarebbe molto da ridire. Inoltre l’uscita dalla società della combustione rappresenta una delle sfide chiave del nostro tempo. Il concetto di CO2 neutra, dal punto di vista delle emissioni climalteranti, per quanto riguarda flussi biologici la cui attivazione ha richiesto e richiede sconvolgimenti planetari potrebbe probabilmente essere posto in discussione (sono rinnovabili, per esempio, gli incendi in Amazzonia per far posto alle coltivazioni di soia necessarie a nutrire i nostri maiali?). Quanto incide la disponibilità di metano per autotrazione nel ritardo nell’adozione di mezzi elettrici per la raccolta dei rifiuti da parte di un’azienda che possiede un biodigestore? Secondo studi di Analisi del Ciclo di Voita (LCA) [2] il metano non appare molto conveniente:
- Benzina: 0,24 kg CO2 eq/km
- Gasolio: 0,22 kg CO2 eq/km
- Metano: 0,22 kg CO2 eq/km
- Ibrido plug-in: 0,17 kg CO2 eq/km
- Elettrico: 0,15 kg CO2 eq/km
È importante sottolineare il quadro all’interno del quale sono mosse le nostre osservazioni e proposte.
Osserviamo infatti in altri settori, come quello energetico, uno sviluppo e una trasformazione in atto che, in qualche modo, invidiamo. Ci riferiamo principalmente al settore energetico dove la produzione locale e diffusa è incentivata, vi è una integrazione di sistema tra grandi e piccoli produttori, la rete, la presenza delle ESCO, il risparmio energetico in edilizia è sostenuto ecc. Si è assistito negli ultimi anni, in altri termini, alla così detta Energy Transition.
Dal monopolio ENEL e una produzione centralizzata, si è passati alla presenza di una miriade di attori. Le offerte all’utenza sono altamente differenziate e su misura delle necessità.
Riteniamo sia oggi il tempo di una “Waste transition” che, in modo analogo a quanto assistito per l’energia, porti anche il sistema dei rifiuti nel III millennio.
In questa transizione il compostaggio diffuso e il compostaggio di prossimità divengono centrali. In questo processo AIC in tutti diversi tavoli e opportunità vuole sempre evidenziare il ruolo fondamentale che il compost ha, oltre che per l’uso in agricoltura e nella florovivaistica, anche nella strategia complessiva di lotta al cambiamento climatico, alla sostituzione di materiale non rinnovabile (come la torba) o di agrochimici, alla promozione dell’utilizzo di materie prime seconde e dei sistemi di riduzione alla fonte dei rifiuti prodotti, alla lotta contro lo spreco alimentare, all’aumento della ritenzione idrica del suolo e la lavorabilità dei terreni. La sfida da raccogliere è interna all’uscita dalla società della combustione (fosse anche la combustione di risorse ritenute rinnovabili) e dell’usa e getta. L’uso del metano è un palliativo vecchio da anni ’80 del secolo scorso.
L’AIC promuove, per la gestione e valorizzazione della frazione organica, una prassi semplice basata sul principio di sussidiarietà e di prossimità con la conseguente costruzione di capacità locali di gestione rifiuti.
Il sistema dei grandi impianti, quindi, viene integrato con l’idea della capacità distribuita, della gestione locale e della rete. Un approccio la cui importanza, ci sembra, la pandemia abbia sottolineato. Si evidenzia che l’obiettivo è quello di diminuire la vulnerabilità del sistema e aumentare l’accettabilità e la consapevolezza sociale (molti piccoli impianti vicini ai luoghi di produzione invece che uno grande e spesso distante).
È in effetti dalle diverse idee di futuro che possono essere definiti il progresso o la regressione da uno scenario auspicabile. Il nostro vede protagonista il territorio e la cura, delle persone e delle cose che ci circondano, insieme a una riconquista del sapere e del saper fare locale. Rifiuti compresi.
Bilancio di massa di un impianto spesso portato ad esempio virtuoso.
NOTE
[1] https://www.sprecozero.it/cose-il-progetto-reduce/
[2] https://insideevs.it/news/515626/emissioni-auto-life-cycle-assessment/
[4] http://www.calabramaceri.it/attachments/brochure%20intera%20Calabra%20Maceri.pdf
Note tecniche sulle criticità ambientali degli impianti anaerobici e sulle opportunità del compostaggio aerobico a scala municipale
Contributo di Francesco Girardi, Ingegnere per l’Ambiente il Territorio – Energy Manager FIRE/ENEA – A.U. ASA Tivoli SpA
La digestione anaerobica è una pratica industriale introdotta nel trattamento dei fanghi e dei reflui urbani nel secolo scorso.
Le tecnologie impiegate sono tecnologie ben collaudate e mature e finalizzano il trattamento di scarti dalla depurazione dei reflui urbani, materiale omogeneo e non eterogeneo, all’essiccamento, alla inertizzazione, alla stabilizzazione dei processi biologici col fine di generare un residuo “stabile e palabile” impiegabile anche in agricoltura.
La possibilità di gestire anaerobicamente i reflui urbani genera la reazione chimica che produce metano dalla degradazione di sostanze più complesse e a base carboniosa introdotte a trattamento (fanghi di depurazione e reflui).
Il metano prodotto è utilizzato esclusivamente per ridurre il fabbisogno di approviggionamento di energia fossile dalla rete del gas al fine di consentire processi anerobici nei digestori anaerobici : fase mesofila e fase termofila.
Nella fase termofila si raggiungono elevate temperature superiori ai 60-70 °C necessarie alla sterilizzazione della biomassa finale in modo da scongiurare il proliferare di sostanze fungine e batteri dannosi e/o letali per la vita animale, vegetale e umana a seguito di impieghi successivi.
La gestione dei rifiuti urbani e industriali in digestori anaerobici è una pratica che rappresenta notevoli differenze di approccio rispetto alla gestione di matrici organiche rappresentate da reflui e trattamento dei fanghi di depurazione.
I rifiuti urbani e quelli industriali hanno una elevatissima variabilità di composizione materiale e chimica per ragioni legate ai processi industriali che hanno subito, alla loro provenienza, alla loro precedente degradazione naturale, per la presenza di sostanze conservanti, di metalli, di sostanze chimiche e biochimiche di sintesi, etc.
La gestione dei rifiuti in generale deve poi soggiacere ai criteri imposti anche dalle Direttive Europee oltre che dal buon senso comune, che impongono per norma vigente :
- l’End Of Waste nella gestione di sottoprodotti e scarti industriali (art.184 ter d.lgs 152/2006 e Legge 128/2019)
- l’approccio Zero Waste che impone la riduzione della produzione di rifiuti a monte : riduzione dello spreco alimentare e pratiche di riuso)
- i principi di gestione dei rifiuti residuali secondo i principi di prossimità verso i luoghi di produzione riducendo le necessità di trasporto degli stessi
- i principi di precauzione e tutela delle matrici ambientali e del territorio inteso come sistema antropico e naturale
- la gerarchia dei rifiuti imposta dalle Direttive Europee agli Stati Membri impone di privilegiare i trattamenti finalizzati al recupero di materia anziché quelli finalizzati al recupero di energia e smaltimento finale. Il comma 3 dell’art. 179 disciplina una deroga rispetto all’ordine di priorità stabilito dalla citata gerarchia dei rifiuti. In particolare, con riferimento a singoli flussi di rifiuti, si consente di discostarsi, qualora ciò sia giustificato, in via eccezionale, nel rispetto del principio di precauzione e sostenibilità, in base ad una specifica analisi degli impatti complessivi della produzione e della gestione di tali rifiuti sia sotto il profilo ambientale e sanitario, in termini di ciclo di vita, che sotto il profilo sociale ed economico, ivi comprese la fattibilità tecnica e la protezione delle risorse.
L’applicazione in combinato disposto di queste direttive Europee tutte recepite dal nostro Legislatore nazionale, comporterebbe una analisi accurata, come si vedrà successivamente, e scelte tecnologiche rispetto a quelle di tipo centralizzato a forte impatto ambientale e sanitario e finalizzate al recupero di energia e non al recupero di materia (riciclo) per compostaggio.
La miscelazione di molteplici rifiuti urbani e industriali in ingresso, viola i principi sanciti dal D.Lgs. 152/2006 di divieto di miscelazione dei rifiuti prodotti e raccolti in modo differenziato.
E’ per questo che il legislatore nazionale ha anche recentemente ribadito con l’emanazione del D. Lgs 116/2020 a modifica del d.lgs 205/2010, comma 3 già citato in apertura del presente documento.
Risulta dunque un aspetto di massima criticità e rappresentativo di una impostazione a monte non favorevole dal punto di vista anche del diritto ambientale con rilevante impatto sulle scelte gestionali da parte di Comuni e/o loro gestori in house il fatto che :
Sono quindi da escludere dal novero della percentuale di rifiuti riciclati da un Comune :
- Tutte le “frazioni estranee” non oggetto di Riciclo / Recupero;
- Tutti i Compost “fuori specifica” in quanto non avviabili ad utilizzo agronomico;
- Tutti i “digestati non conformi” alla normativa D. Lgs. 75/2010 tra cui quello previsto nell’impianto di digestione anaerobica;
I digestati da rifiuti, che per definizione all’art. 183 assumono anche giuridicamente connotati ben distinti dal compost, non sono necessariamente annoverabili e ricomprendibili nell’ambito del D. Lgs. 75/2010 (direttiva fertilizzanti naturali) ed anzi laddove siano provenienti da trattamenti “anaerobici” o “misti anaerobico-aerobico” di molteplici C.E.R., essi rientrano in regolamenti comunitari non ancora emanati e definiti “fertilizzanti PFC3” per i quali i range di presenza di sostanze tossiche, nocive e cancerogene è notevolmente più elevato e spinto rispetto a quelle previste per il compost ACM o ACV (compost ammendante compostato misto o ammendante compostato verde). Qui di seguito i valori a confronto:
La gestione dei rifiuti finalizzata al recupero energetico e non al recupero di materia, tende dunque a destinare il carbonio contenuto nelle sostanze organiche in ingresso esclusivamente e completamente alla formazione di Metano e Anidride Carbonica. Entrambe queste sostanze sono ad elevatissimo impatto climalterante.
A ciò si aggiunga il fatto che poiché questi impianti sono finalizzati al riconoscimento di incentivi economici , tali impianti sono soliti prevedere ingenti prelievi di metano fossile-gas naturale dalla rete di adduzione cittadina (SNAM o altri gestori) al fine di poter rivendere incentivato tutto il biometano prodotto.
Da ciò alcune considerazioni :
SI tratta davvero di impianti a fonte rinnovabile ?
SI tratta davvero di impianti che favoriscono una visione volta alla riduzione dei rifiuti o addirittura tendono a favorirla qualora essi siano collegabili direttamente alla produzione di vettori energetici per autotrasporto ? L’Alto potere detonante:
L’evoluzione recente ha visto nell’upgrade del biogas a biometano, un suo sviluppo ulteriore potendo con altri sofisticati sistemi, separare tutta la CO2 immessa poi in atmosfera o direttamente o indirettamente, da tutto il metano CH4 aumentando così il potere detonante del prodotto combustibile finale.
Le fasi di stoccaggio di questi ingenti giacimenti di biometano in aree urbane, prevede la realizzazione di veri e propri “palazzi” – “condomini” di stoccaggio in prossimità di aree urbane abitate, aree commerciali, strade o aree industriali:
La necessità di prevedere idonei piani di evacuazione delle aree circostanti i siti di installazione diviene dunque un elaborato progettuale e un atto obbligatorio stante la presenza insita in queste installazioni, di incidenti rilevanti da valutarsi in ogni suo aspetto stante l’applicazione di obbligatoria procedura di V.I.A. (in applicazione del D.lgs 152/2006 art.6 comma 5 e art. 5 comma 1 lettera c), ma anche in riferimento ai limiti tabellari desumibili dall’applicazione dell’articolato desunto dal D.Lgs 26 giugno 2015, n. 105 e dall’Allegato al D.M. 30/3/2015).
Nel caso di proposta pubblica, un aspetto da attenzionare in più rispetto al caso di installazioni private, è legato alla gestione delle risorse pubbliche secondo principi di cautela massima e analisi delle alternative più performanti sia dal punto di vista ambientale ma anche dal punto di vista economico e finanziario.
Si dimostra infatti che tecnologie meno impattanti dal punto di vista ambientale e caratterizzate da logistica di approviggionamento più snella e calata a scala territoriale locale, tendono anche a restituire processi tecnologici meno costosi, meno onerosi dal punto di vista finanziario e maggiormente profittevoli dal punto di vista anche della restituzione di posti di lavoro:
È per questi aspetti che, rilevate le tante criticità su sinteticamente esposte, si propone e consiglia di virare verso altro tipo di visione industriale incentrata sul rispetto pieno delle Direttive Europee e volta al miglioramento anche qualitativo di tutte le prassi di raccolta differenziata dei rifiuti e gestione in generale delle matrici anche non urbane.
Un approccio che privilegi il recupero di materia soprattutto se strettamente collegato all’interfaccia con l’utenza servita da idonee e più performanti prassi di raccolta differenziata, è certamente foriero di progresso non solo tecnologico ed economico ma anche sociale : entrambi questi risultati conseguono il migliore risultato ambientale possibile.
Altri impatti sulle matrici ambientali che in sede di V.I.A. devono obbligatoriamente essere valutati anche rispetto ad alternative impiantistiche plausibili, sono :
- impatto sull’aria legato ai flussi trasportistici di rifiuti in ingresso
- impatto sull’aria legato ai flussi trasportistici di rifiuti in uscita
- impatto sull’aria legato alle emissioni diffuse e concentrate (torce biogas- biometano, perdite fisiologiche dalle tubazioni 2-5 % del biometano, etc.)
- impatto sull’aria legato alle emissioni odorigene
- impatto sul suolo legato allo spandimento di sostanze fertilizzanti non comprensibili nell’ambito del d.lgs 75/2010
- impatto sulle acque di falda per ingenti emungimenti legati alle necessità di rendere pompabili nei sottoservizi legati all’impianto anaerobico, tutti i rifiuti in ingresso a prescindere dalla loro natura, consistenza e provenienza
Inevitabilmente le soluzioni centralizzate come quelle di grandi o grandissime installazioni anaerobiche analogamente alla visione centralizzata in TMB – Inceneritori e Discariche, tende a massimizzare gli impatti ambientali rispetto a soluzioni non centralizzate di trattamento diffuso e prossimo ai luoghi di produzione dei rifiuti (pubblici o privati che siano). Il modello attuativo e tangibile di riferimento applicabile singolarmente in ogni Municipio a Roma, potrebbe essere quello molto vicino alla Capitale e imbastito a Tivoli Comune di circa 60.000 abitanti (115simo comune italiano per numerosità abitativa) in provincia di Roma, dove il gestore ASA Tivoli SpA ha avviato un piano di gestione dei rifiuti urbani (ed ex speciali assimilabili) finalizzato al recupero di materia in cui i cittadini collaborano in modo costante e trasparente, alla produzione di ACM anche tramite macchine, non già solo impianti, di prossimità a gestione “di comunità” in applicazione del DM 266/2016.
La gestione diffusa in aree urbane caratterizzate a forte vocazione “condominiale” vede i cittadini coinvolti nelle pratiche di compostaggio locale grazie all’utilizzo in comodato d’uso gratuito da parte del gestore In House ASA Tivoli S.p.A. di diverse compostiere elettromeccaniche. Il compostaggio domestico applicato a tutte le utenze dotate di giardino esclusivo (in numero pari a 2500 unità) e l’impianto di compostaggio a bio-celle aerobiche, completano lo scenario progettuale di una gestione correttamente eseguita, calata nelle singole realtà di quartiere e rispettosa anche dei criteri di massima efficienza nella gestione erariale nonchè ambientale (www.asativolispa.it, https://fb.watch/9VrMmLZNrF/ )
Incenerimento dei rifiuti, digestione anaerobica e salute delle persone e dei bambini
Presidente ISDE Roma, Laura Reali
L’incenerimento e la digestione anaerobica dei rifiuti non sono soluzioni sicure per la salute delle persone e in particolare di quelle più fragili come i bambini e le donne in gravidanza.
Trattamento della Frazione Organica dei Rifiuti Urbani -FORSU- position paper ISDE, 2015
Inoltre, sono in contrasto con la normativa Europea – Direttiva Emissioni Industriali (IED) 2010/75/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio in materia di rifiuti, secondo i criteri della economia circolare e la politica delle 3 R (riduzione della produzione, riutilizzo dei rifiuti e recupero in termini di materia ed energia).
Infine, rappresentare un serio rischio per il cambiamento climatico a causa delle emissioni di importanti gas serra, come CO2 e Metano, che producono.
Gli studi internazionali e nazionali a sostegno sono numerosi, tra cui il documento specifico di ISDE Italia sul trattamento della Frazione Organica dei Rifiuti Urbani -FORSU- position paper ISDE, 2015 https://www.isde.it/wp-content/uploads/2014/02/2015-02-Position-Paper-FORSU-finale.pdf
L’incenerimento e la digestione anaerobica dei rifiuti non sono soluzioni sicure per la salute delle persone e in particolare di quelle più fragili come i bambini e le donne in gravidanza.
Inoltre, sono in contrasto con la normativa Europea – Direttiva Emissioni Industriali (IED) 2010/75/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio in materia di rifiuti, secondo i criteri della economia circolare e la politica delle 3 R (riduzione della produzione, riutilizzo dei rifiuti e recupero in termini di materia ed energia).
Infine, rappresentare un serio rischio per il cambiamento climatico a causa delle emissioni di importanti gas serra, come CO2 e Metano, che producono.
Incenerimento dei rifiuti: perché è pericoloso
Gli inceneritori di rifiuti solidi (IRSU) possono trattare sia rifiuti urbani che industriali/ospedalieri (rifiuti urbani grezzi, residui della raccolta differenziata e rifiuti trattati o non trattati da processi industriali o ospedalieri).
Dalla combustione delle sostanze organiche contenute nei rifiuti si producono emissioni contenenti sostanze sia inorganiche che organiche, che si diffondono nell’ambiente e sono tutte tossiche per la salute umana: irritanti respiratori e cutanei nel breve periodo e cancerogene nel lungo termine.
Si tratta di: monossido di carbonio (CO), anidride carbonica (CO2), ossidi di zolfo e di azoto (SOX, NOX), fuliggine, metalli e loro ossidi e sali, composti organici volatili (VOC), diossine [policlorodibenzop-diossina (PCDD) e policlorodibenzofurano (PCDF), PCDD/Fs)], policlorobifenili (PCB), idrocarburi policiclici aromatici (IPA), particolato (PM) e particelle ultrafini.
Queste sostanze possono essere emesse come vapori (ad es. VOC e IPA) o adsorbite su materiale particolato (PM), diventando inquinanti atmosferici. Possono entrare nel corpo umano per inalazione e dai polmoni arrivare agli alveoli, fino a entrare nel circolo sanguigno; oppure possono depositarsi al suolo, da dove possono essere ingerite direttamente con alimenti contaminati (vegetali o animali cresciuti nell’area di deposizione delle ceneri), o con acqua contaminata, dopo la loro dissoluzione per precipitazioni atmosferiche e passaggio nelle falde acquifere.
C’è molta preoccupazione sulla sostenibilità globale del processo di incenerimento dei rifiuti, a causa dei potenziali effetti tossici di questi inquinanti sulla salute umana e sull’ambiente, in particolare per la salute delle persone che vivono vicino agli IRSU.
La preoccupazione è maggiore per le popolazioni potenzialmente sensibili, come i bambini piccoli, gli adolescenti e le donne in gravidanza, ma anche i lavoratori degli inceneritori possono essere esposti a livelli più elevati di sostanze chimiche tossiche, rispetto alla popolazione generale.
Laura Campo, et al.(2019) A systematic review on biomonitoring of individuals living near or working at solid waste incinerator plants, Critical Reviews in Toxicology, 49:6, 479-519, DOI: 10.1080/10408444.2019.1630362
Gli studi internazionali: quelli meno recenti, effettuati sui vecchi inceneritori RSU precedenti al 2000 e ad alta emissione di diossine che avevano dimostrato un aumento di PCDD/F, piombo e IPA principalmente nei lavoratori esposti alle emissioni; ma anche riduzione degli ormoni tiroidei, incremento dei casi di cancro ed esiti avversi alla nascita nelle donne in gravidanza abitanti nelle vicinanze.
Studi più recenti (2005-2020) sulle diverse pratiche di gestione dei RSU (discariche, inceneritori, rifiuti a cielo aperto, stazioni di trasferimento, siti di riciclaggio, impianti di compostaggio e digestori anaerobici) e rischi per la salute delle popolazioni residenti nelle vicinanze hanno rilevato: aumento del rischio di parti ed esiti neonatali avversi per i residenti vicino a tutti i siti di RSU, aumento del rischio di mortalità, di malattie respiratorie e di effetti sulla salute mentale per i residenti vicino a discariche, aumento del rischio di mortalità associato alla residenza vicino a inceneritori. Inoltre, associazioni significative con ampi gruppi di anomalie congenite.
Vinti, G. et al. Municipal Solid Waste Management and Adverse Health Outcomes: A Systematic Review. Int. J. Environ. Res. Public Health 2021, 18, 4331. https://doi.org/10.3390/ ijerph18084331
Ashworth DC, et al. Waste incineration and adverse birth and neonatal outcomes: a systematic review. Environ Int. 2014 Aug;69:120-32. doi: 10.1016/j.envint.2014.04.003. Epub 2014 May 12. PMID: 24831282.
Gli studi italiani sugli effetti degli IRSU (inceneritori di rifiuti solidi urbani) sulla salute umana
Tutti gli studi condotti hanno rilevato una situazione parzialmente compromessa dal punto di vista sanitario.
Una revisione sul rischio di anomalie congenite associato a diversi fattori di rischio, tra cui le esposizioni ambientali da parte della madre, come vicinanza a industrie, miniere, discariche e inceneritori (7 studi pubblicati tra il 1998 e il 2010), conclude che ci sono evidenze limitate di un’associazione tra la vicinanza della residenza materna a inceneritori e la presenza di anomalie congenite nella prole. (https://epiprevit.serversicuro.it/materiali/2018/EP3-4/Suppl_CongenitalAnomalies/EP42_3-4_Suppl1.pdf. Epidemiologia & Prevenzione,2016)
Il 5% dei bambini che nascono ogni anno in Italia, presenta almeno un’anomalia congenita, molto spesso associata a disabilità di varia natura e gravità. Il costo sociale ed economico di queste patologie è elevato e la loro prevenzione primaria rappresenta una priorità di sanità pubblica. Le cause di tali anomalie non sono ancora del tutto chiarite ma si è concordi nel definirle multifattoriali, derivanti cioè da interazioni complesse tra geni e ambiente, intendendo per ambiente esposizione a: sostanze chimiche, agenti infettivi, malattie della madre.
Una sintesi degli studi su inceneritori e salute condotti in Italia (A. Renzi): https://www.dors.it/alleg/spott/201703/ranzi_AIE2016.pdf
Inoltre:
Studio di Forlì: 220 bambini sani di Forlì, 62 dei quali residenti entro 3 Km dai due inceneritori locali e perciò considerati “esposti”. L’accumulo di metalli pesanti rilevato nelle unghie dei ragazzi ha mostrato una percentuale di concentrazione maggiore negli esposti rispetto ai controlli (158 bambini). In particolare, Bario, Nichel, Manganese e Rame erano più elevati in quelli che vivevano nelle aree esposte. Gran parte di questi metalli viene veicolato dal particolato fine (PM2,5) ed ultrafine per il quale non esiste alcun filtro anche nei più moderni impianti. Manganese e Rame, se in eccesso nel nostro corpo, sono pericolosi per la salute, il Nichel è un cancerogeno gruppo1 IARC e i metalli pesanti sono in genere genotossici e possono determinare modifiche epigenetiche.
Di Ciaula A, et al. Biomonitoring of Metals in Children Living in an Urban Area and Close to Waste Incinerators. International Journal of Environmental Research and Public Health. 2020; 17(6):1919. https://doi.org/10.3390/ijerph17061919
Studio MONITER- Studio degli effetti degli inceneritori sulla popolazione residente entro 4 km di distanza dagli 8 inceneritori dell’Emilia-Romagna (2007-2011). È il più grande e rigoroso, ha consentito l’Organizzazione di un sistema di sorveglianza ambientale e valutazione epidemiologica nelle aree circostanti gli impianti di incenerimento rifiuti solidi urbani in Emilia-Romagna e ha fatto da esempio per lo studio ERAS, che è stato condotto nel Lazio successivamente.
MONITER: ha rilevato aumenti di:
Linfoma Non Hodgkin: rischio relativo di 1.86 (0.92-3.74)
Esito “nati pre-termine”, Rischio Relativo 1.75
Esito “nati piccoli per l’età gestazionale” Rischio Relativo 1.21
Come dire un incremento del 75% dei nati prematuri e del 30% dell’abortività spontanea
(Epidemiology. 24 – 2013; Environment Int. 78 – 2015)
Mataloni F, Badaloni C, Golini MN, Bolignano A, Bucci S, Sozzi R, Forastiere F, Davoli M, Ancona C. Morbidity and mortality of people who live close to municipal waste landfills: a multisite cohort study. Int J Epidemiol. 2016 Jun;45(3):806-15.
Studio ERAS (1996-2008) Lazio
Monitoraggio delle condizioni di salute di oltre 200 mila persone residenti in prossimità di nove discariche laziali. Risultati: vivere a meno di 5 chilometri da una discarica aumenta
- il rischio di cancro ai polmoni del 34%,
- il rischio di ricovero in ospedale per malattie respiratorie del 5% e
- i più colpiti risultano essere i bambini.
- “L’esposizione a solfuro di idrogeno (H2S), tracciante della contaminazione aerotrasportata dalle discariche, è stata associata a mortalità per cancro del polmone e a mortalità e morbilità per malattie respiratorie.
Vale la pena ricordare che le alterazioni e le patologie legate alla riproduzione sono le prime ad apparire negli studi epidemiologici dei territori inquinati; le malattie degenerative ed i tumori vengono evidenziati solo con studi a più lungo termine.
Il programma ERAS Lazio non ha evidenziato particolari scostamenti nella mortalità totale rispetto ad altre aree non interessate da impianti di questo genere. Tuttavia, ha messo in luce alcune criticità nei tassi di ospedalizzazione e le associazioni emerse nei diversi studi sono potenzialmente attribuibili anche all’inquinamento prodotto dagli impianti per il trattamento dei rifiuti nei decenni passati.
Conclusioni
L’incenerimento dei rifiuti e la digestione anaerobia non possono essere considerati strumenti sostenibili di gestione dei rifiuti, sia per le ricadute sulle emissioni in atmosfera, sia per l’aumento di emissioni di CO2 (riscaldamento da combustione) e i relativi effetti sul cambiamento climatico, sia per la salute di chi ci abita intorno. Sono superati anche dalle ultime indicazioni Europee (il 10 febbraio 2021 il Parlamento Europeo ha approvato nell’ambito del “dispositivo per la ripresa e la resilienza” una normativa valida per tutti i Paesi dell’Unione che sposta tutti gli incentivi per l’incenerimento e per le discariche dei rifiuti (fase terminale dello smaltimento), al loro recupero/riciclo/riutilizzo per ridurne drasticamente il quantitativo inquinante e realizzare una vera Economia Circolare) con riduzione delle emissioni di gas serra per un contrasto al riscaldamento climatico. Non sono strumenti di tutela ambientale e anche se gli attuali effetti degli impianti di incenerimento sulla salute possono essere definiti moderati rispetto ad altre fonti di inquinamento ambientale, ad es. traffico o emissioni industriali, che hanno un forte impatto sulla salute pubblica, gli inquinanti emessi dagli inceneritori si sommano a quelli già presenti in atmosfera, con effetto di amplificazione degli effetti tossici. Sappiamo anche che i metalli pesanti adesi al particolato ultrafine (PM2.5) possono entrare nel sangue attraverso i polmoni, con effetti genotossici. Si presume poi che l’inalazione sia la fonte principale, ma sarebbe opportuno considerare le altre fonti di esposizione come la contaminazione del cibo o il contatto con il suolo contaminato. L’impianto d’incenerimento con recupero di energia è molto costoso e necessita, per essere produttivo, di lavorare sempre a pieno regime. Ciò comporta che gli inquinanti siano prodotti 24 ore al giorno e per 365 giorni l’anno e in diretta relazione alla quantità di rifiuto bruciato (data la capienza in genere elevata degli inceneritori). Anche se i singoli inquinanti singolarmente presi nell’unità di misura sono al di sotto delle soglie stabilite per legge come pericolose, il quantitativo prodotto durante tutto l’arco dell’anno potrebbe portare a un accumulo nella popolazione e a possibili danni nelle generazioni future. Sarebbe necessario un continuo monitoraggio della salute degli abitanti esposti, ma nel frattempo sarebbe molto più importante ridurre la quantità di rifiuti prodotti e inviati alla distruzione sia attraverso la raccolta differenziata sia producendo globalmente meno rifiuti soprattutto a Roma (vedi tab. e caratteristiche della RD a Roma e a Roma capitale)
Essenziale è anche l’educazione della popolazione:
- se ne hai la possibilità, fai il compostaggio domestico;
- usa il vuoto a rendere e i prodotti alla spina (latte, detersivi);
- compra oggetti con pochi imballaggi;
- usa borse in stoffa o borse riutilizzabili per fare la spesa;
- acquista solo la quantità necessaria o desiderata di prodotto, eviterai gli sprechi;
- preferisci imballaggi riciclabili fatti di un solo materiale a quelli non riciclabili;
- riutilizza i contenitori vuoti (bottiglie, sacchetti, scatole…);
- evita gli oggetti usa e getta, preferisci ciò che è lavabile e riutilizzabile (stoviglie, posate, pannolini…) o ricaricabile (batterie);
- valuta la qualità degli oggetti che scegli, meglio sono costruiti più lentamente diventano rifiuti;
- bevi l’acqua del rubinetto, se la preferisci frizzante utilizza un gasatore.
Pasinato A. Quaderni-acp-2019_26(3)-PE_as1.pdf
SPUNTI TECNICI DI APPROFONDIMENTO SUL BIO-METANO
Il biometano COMBUSTO vede l’emissione di CO2 in kg/l che non è esattamente inferiore a quella di diesel e benzina, anzi, tutt’altro!
La produzione di biometano, nel suo complesso (che include anche il trasporto dei rifiuti, gli scarti costituiti da digestato che contiene possibili inquinanti in entrata e carica batterica nociva per l’agricoltura, la combustione del biometano per autotrazione, la CO2 che deve essere eliminata dal biogas per l’upgrading a biometano, e tutti gli inquinanti azotati, oltre alle polveri sottili) contrariamente a quanto si tenti di inculcare nell’opinione pubblica, non è NE’ ECONOMICA (consuma energia) NE’ PULITA (inquina in diversi modi).
La primaria utilizzazione del BIO-METANO è quella di IMMETTERLO NELLA RETE DEL GAS NATURALE / METANO FOSSILE, quella secondaria è di UTILIZZARLO COME COMBUSTIBILE PER AUTOTRAZIONE di mezzi pesanti o leggeri.
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- L’immissione nella rete del gas naturale è quella che sembrerebbe più “scontata” in quanto noi comunque usiamo il gas metano per riscaldarci o cucinare …. salvo sapere che la nostra rete di distribuzione del gas metano ha grosse “perdite fuggitive”. Grazie ai mancati investimenti di ENI e di SNAM, i due colossi di gestione della rete, l’Italia è al TERZO POSTO IN EUROPA PER LA DISPERSIONE IN ATMOSFERA DI METANO !!!! Non lo diciamo noi ma ben più autorevolmente A.R.E.R.A – Autorità Regolazione per Energia Reti Ambiente https://www.arera.it/allegati/docs/20/039-20.pdf che cita il rapporto E.E.A. – European Environment Agency al punto 10.13: “L’European Environment Agency (EEA) valuta le emissioni di metano imputabili al settore del gas in una quota pari allo 0,6% delle emissioni globali EU nel 201633. Tali emissioni derivano dalle diverse sorgenti emissive associate ai processi produttivi del gas naturale, dall’esplorazione fino alla distribuzione del gas all’utente finale. L’Italia risulta al terzo posto delle emissioni fuggitive di metano da gas naturale (17,6% del totale EU dal 2016 al 2019), dopo Germania (19,3%) e Romania (20,7%) e seguita dal Regno Unito (15,0%). La rete gas nazionale è la principale sorgente di emissioni di metano, le quali risultano concentrate soprattutto sulla distribuzione (77%) e solo secondariamente su trasporto e stoccaggio (17%).”
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Tale situazione resta confermata anche nel rapporto E.E.A. del 2020 come da tabella allegata
https://www.eea.europa.eu/publications/air-quality-in-europe-2020-report
2. La seconda utilizzazione è quella come combustibile per autotrazione di mezzi pesanti (bus – camion -trattori) o automobili. Nel caso dei mezzi pesanti l’inquinamento atmosferico da METANO ed altri gas è addirittura CINQUE VOLTE quello del Diesel V° generazione. Lo dice l’ente pubblico I.N.E.M.A.R. – Inventario Emissioni Aria dell’ARPA LOMBARDIA con la tabella che alleghiamo
IMPATTO AMBIENTALE IMPIANTI A BIOGAS + IMPATTO CUMULATIVO
Ricordiamo che la generazione di biogas da FORSU produce le seguenti emissioni:
- Polveri sottili (PM10, PM2,5) (da impianto e da mezzi di trasporto)
- Ossidi di azoto (NOx)
- Ammoniaca (NH3)
- Idrocarburi
- CO2 da upgrading da biogas a biometano (nonché la CO2 in seguito proveniente dalla combustione del biometano e quella prodotta dai mezzi necessari al funzionamento quotidiano))
- Monossido di carbonio (CO)
- CH4 da eventuali perdite (potente gas serra)
- Digestato che contiene possibili inquinanti in entrata oltre a carica batterica nociva per l’agricoltura
- Possibili: formaldeide e altri
Polveri sottili
PM10
Il PM10 indica un insieme di polveri inquinanti altamente nocive per l’uomo. Si tratta di particelle solide e liquide, di diametro inferiore a 10µm, generate da fenomeni naturali, o più comunemente dai gas di scarico delle automobili o dall’inquinamento degli impianti industriali. Gli effetti irritativi sul tratto superiore dell’apparato respiratorio possono comprendere l’infiammazione e la secchezza del naso e della gola, aggravandosi se le particelle hanno assorbito sostanze acide (come il biossido di zolfo o gli ossidi di azoto).
PM2.5
E’ un insieme di polveri inquinanti con diametro inferiore a 2.5µm, di natura organica o inorganica, che possono presentarsi allo stato solido o liquido. Questo tipo di particolato è in grado di penetrare profondamente nell’apparato respiratorio provocando disturbi acuti e cronici (asma, bronchite, enfisema, allergia) e nell’apparato cardio-circolatorio (aggravamento dei sintomi cardiaci nei soggetti predisposti).
Il termine particolato, indicato con la sigla PM da Particulate Matter, designa infatti piccolissime particelle solide o liquide del diametro dei micron (la millesima parte di un millimetro) che rimangono sospese nell’aria per periodi variabili e dipendenti dalla loro massa e diametro prima di ricadere al suolo. Le particelle hanno un diametro che può variare da un paio di nanometri fino a 100 micron.
Si indicano con la sigla PM10 tutte le particelle con diametro inferiore a 10 micron (in sigla m), pertanto il PM2,5 è un sottoinsieme del PM10, che a sua volta è un sottoinsieme del particolato grossolano, cioè particolato sedimentabile di dimensioni superiori ai 10 m, non in grado di penetrare nel tratto respiratorio superando la laringe, se non in piccola parte.
Il PM10 – particolato formato da particelle inferiori a 10 m (un centesimo di millimetro) – è una polvere inalabile, ovvero in grado di penetrare nel tratto respiratorio superiore (naso e laringe).
Le particelle di diametro tra 5 e 2,5 m si fermano prima dei bronchioli. Il PM2,5 – particolato fine con diametro inferiore a 2,5 m (un quarto di centesimo di millimetro) -, è una polvere in grado di penetrare ancora più profondamente nei polmoni fino agli alveoli dove avvengono gli scambi gassosi tra sangue e aria.
Per dimensioni ancora più piccole (particolato ultrafine, UFP o UP) si parla di polvere respirabile, cioè in grado di penetrare direttamente nel sangue.
Le nanoparticelle sono in grado di penetrare all’interno delle cellule ed alterarne l’epigenoma con alterazioni di codifica del DNA, con conseguente rischio di sviluppare gravi patologie quali tumori, malattie cardiovascolari, leucemie e malformazioni fetali.
Circa l’80% delle polveri emesse dall’impianto FORSU/biogas sarebbero polveri ultrafini (< PM2,5), con conseguente elevato rischio sanitario non calcolabile. Tutto il mondo scientifico indipendente che non ha interessi diretti nella promozione di queste centrali afferma da tempo che non è possibile filtrare in alcun modo le polveri al di sotto del PM2,5 e nessun istituto scientifico e di controllo riconosciuto (ISPRA, ARPA, CNR, ecc.) ha potuto mai smentire tale affermazione.
Tutte le sostanze contenute nei fumi si diffondono per chilometri e andrebbero a spargersi nei terreni contaminando anche le colture.
LE LINEE GUIDA OMS, già dal 2005, PREVEDONO I SEGUENTI LIMITI, ai quali la Commissione Europea ha avviato le procedure di adeguamento:
PM2.5 : 10 μg/m3 anno (25 μg/m3 media nelle 24 ore)
PM10 : 20 μg/m3 anno (50 μg/m3 media nelle 24 ore)
Nonostante le attuali norme europee prevedano una soglia due volte e mezzo superiore, l’Italia risulta in pressoché continua INFRAZIONE, tanto che a novembre 2020 l’Italia è stata condannata dalla Corte di giustizia europea per aver violato in maniera sistematica e continuata le soglie comunitarie per le polveri sottili.
Ossidi di azoto
NOx, ad esempio NO2 – Biossido di Azoto
Il biossido di azoto è un forte irritante delle vie polmonari; già a moderate concentrazioni nell’aria provoca tosse acuta, dolori al torace, convulsioni e insufficienza circolatoria. Può inoltre provocare danni irreversibili ai polmoni che possono manifestarsi anche molti mesi dopo l’attacco. E’ ritenuto cancerogeno. Lo studio sopra citato su Lancet Planet Health inserisce Brescia nel cluster 2 (in Italia seconda solo a Milano e Torino) per inquinamento da biossido d’azoto (NO2)
Ammoniaca NH3
Le emissioni di ammoniaca, insieme agli ossidi di azoto, altrettanto riconosciuti come tipicamente prodotti dalla trasformazione di FORSU in biogas, contribuiscono alla riduzione della funzione polmonare soprattutto nei bambini (a dimostrazione: aumento di accessi al pronto soccorso per patologie polmonari pediatriche a Calcinato, report ATS) aumentano l’incidenza di asma, bronchiti ed edemi polmonari.
Si vuole ribadire l’importanza del controllo del parametro ammoniaca soprattutto nelle emissioni da un impianto di digestione anaerobica.
Tale aspetto da noi già sottolineato nei suoi profili tecnici relativi alla gestione del primo stadio del presidio ambientale proposto da a2a, nel testo della nostra risposta alle “controdeduzioni al preavviso di diniego di a2a” riveste di primaria importanza sia perchè l’ammoniaca concorre alla formazione di particolato (PM 2,5) atmosferico secondario quindi di rilievo per la salute umana, sia per la correlazione che tale parametro mostra con effetti fisiologici importanti (acidificazione, eutrofizzazione) sulle piante.
Da qui l’avvio delle politiche di contenimento di tale contaminante in sintonia con le Air Guidelines for Europe che hanno individuato il livello critico giornaliero in 270 microgrammi come media giornaliera.
Ossidi di azoto (NOx), ossidi di zolfo (SOx) ed ammoniaca (NH3) sono i principali responsabili dei processi di acidificazione delle precipitazioni. Per esprimere in modo aggregato il potenziale acidificante delle emissioni atmosferiche è possibile applicare alle emissioni dei singoli gas opportuni fattori moltiplicativi ricavati dal loro potere acidificante in equivalenti acidi (H+). I fattori utilizzati sono pari a: 31,25 per ossidi di zolfo, 21,74 per ossidi di azoto e 58,82 per ammoniaca. Le emissioni dei singoli inquinanti sono state ricavate dai risultati dell’inventario regionale di emissioni in atmosfera INEMAR (INventario EMissioni ARia) di ARPA LOMBARDIA. I dati riportati per questo anno di riferimento sono quelli riferiti all’ultima edizione disponibile delle emissioni, ovvero l’edizione definitiva anno 2014. (fonte: ARPA Lombardia)
Monossido di carbonio CO
Il monossido di carbonio è un gas inodore e incolore, tossico per l’uomo. Gli effetti dell’esposizione a questo agente inquinante possono variare da leggera intossicazione con disturbi psico-motori, cefalea e indebolimento generale fino a conseguenze più gravi. E’ emesso prevalentemente dai motori dei veicoli, dagli impianti di riscaldamento domestici e dagli impianti industriali.
Anidride carbonica CO2
L’anidride carbonica viene estratta dal biogas nel processo di upgrading da biogas a biometano. Il biogas è infatti costituito principalmente da CH4 e CO2, che deve essere rimossa insieme agli altri inquinanti, all’acido solfidrico e all’acqua (il biogas è saturo di acqua) nella fase di upgrading. La produzione di CO2 è sostanziale, costituendo dal 20 al 45% del biogas in entrata al processo di upgrading, e DEVE ESSERE ELIMINATA.
Metano CH4
Il metano è il secondo gas serra più importante dietro l’anidride carbonica che causa il cambiamento climatico globale, contribuendo per circa 1 W m −2 al riscaldamento quando si includono gli effetti indiretti rispetto a 1,66 W m −2 per l’anidride carbonica (IPCC, 2013).
A differenza dell’anidride carbonica, il sistema climatico risponde molto più rapidamente ai cambiamenti nelle emissioni di metano e la riduzione delle emissioni di metano potrebbe fornire un’opportunità per rallentare immediatamente il tasso di riscaldamento globale (Shindell et al., 2012) e forse soddisfare la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) Obiettivo della COP21 di mantenere il pianeta ben al di sotto di 2 °C sopra la linea di base preindustriale (IPCC, 2018).
Il metano contribuisce anche alla formazione dell’ozono troposferico, con grandi conseguenze negative per la salute umana e l’agricoltura. Considerando questi effetti e il cambiamento climatico, Shindell (2015) ha stimato che il costo sociale del metano è da 40 a 100 volte maggiore di quello per l’anidride carbonica: 2700 USD per tonnellata per metano rispetto a 27 USD per tonnellata per anidride carbonica quando calcolato con un tasso di sconto del 5% e 6000 USD per tonnellata per il metano rispetto a 150 USD per tonnellata per l’anidride carbonica se calcolato con un tasso di sconto dell’1,4%.”.
Alle stesse conclusioni sono giunti gli autori della pubblicazione su Science del 2018 a cura del gruppo guidato da Ramón A. Alvarez, in merito alla valutazione che le emissioni di metano della catena di approvvigionamento erano superiori del 60% rispetto alla stima dell’inventario dell’Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti.
Il metano, principale ingrediente del cosiddetto gas naturale, è un potente gas serra il cui effetto – in termini di riscaldamento dell’atmosfera è 80 volte superiore a quello della CO2 nei primi 20 anni dopo l’emissione. Secondo lo studio le emissioni di metano prodotte dall’industria estrattiva negli ultimi due decenni avrebbero azzerato i benefici sul clima portati dalla conversione a metano degli impianti a carbone nello stesso periodo.
Dei ricercatori hanno stimare che il valore commerciale del metano immesso per errore nell’atmosfera tra il 1995 e il 2015: circa 2 miliardi di dollari di gas dispersi per nulla, più che sufficienti a riscaldare 10 milioni di abitazioni. La soluzione? In prima battuta quella più ovvia: riparare le perdite e aggiustare i macchinari difettosi. E dopo bisogna capire come uscire dall’Era dei Combustibili Fossili.
E’ infine utile segnalare come la Regione Emilia Romagna, con la Delibera dell’Assemblea Legislativa DAL 51/2011, ha vietato lo spandimento di digestati proveniente da impianti a biogas nelle terre destinate al foraggio per la produzione del parmigiano. Tale delibera riguarda l’applicazione del digestato agricolo proveniente dal-la fermentazione anaerobica di insilati agricoli a causa della proliferazione di clostridi favorita dal processo anaerobico di insilamento: nella delibera stessa si osserva che “nel processo anaerobico di produzione di biometano si creano nel digestore le stesse condizioni favorevoli allo sviluppo delle spore, presenti sia nella produzione dell’insilato, sia nell’apparato digerente dei ruminanti”.”
Indice
- Movimento Legge Rifiuti Zero per l’economia circolare / M. Piras
Pog. 1
- Cenni normativi per un progetto di vera economia circolare a Roma Capitale / M. Piras
Pag. 1 – 3
- Nota sui biodigestori a Roma / F. Musmeci
Pag. 4 – 7
- Note tecniche sulle criticità ambientali degli impianti anaerobici e sulle opportunità del compostaggio aerobico a scala municipale / F. Girardi
Pag. 8 – 13
- Incenerimento dei rifiuti, digestione anaerobica e salute delle persone e dei bambini / L. Reali
Pag. 14 – 18
- Spunti tecnici di approfondimento sul biometano / M. Piras
Pag. 19 – 25